I boschi urbani e le oasi naturalistiche boschive sono aree con una gestione minima sorte per il recupero delle foreste planiziali originarie della pianura Padana scomparse a seguito di una urbanizzazione diffusa ma anche come boschi lineari quali ad esempio le fasce tampone. Hanno fini prevalentemente protettivi e di miglioramento ambientale (infiltrazione dell’acqua piovana in profondità, trattenimento inquinanti, mitigazione microclimatica…). Originati dalla Carta di Rosà del 1991 e confermati dalla Legge regionale n. 13 del 2003 per il ritorno dei boschi planiziali sono anche aree di particolare rilevanza naturalistica. Nel vicentino il Bosco di Rosà è stato un precursore, mentre un modello nazionale/europeo è il Bosco delle Querce di Seveso.
La storia dei boschi di pianura
fonte: veneto Agricoltura
Le foreste vergini primeve occupavano in modo continuo la pianura veneto-friulana; scendendo dalla fascia pedemontana verso il Po ed il mare Adriatico ed in ragione del livello dei terreni rispetto alla falda freatica, si susseguivano ininterrottamente boschi dominati da Rovere, Farnia, Frassino ossifillo, Ontano nero, Pioppi e Salici, intersecati da un dedalo di fiumi e di paludi, una specie di “piccola Amazzonia”. La distruzione dell’originale manto forestale iniziò presto nel postglaciale ma fu solo con l’arrivo della dominazione romana che l’opera venne resa sistematica, come testimoniato ancor oggi dai resti delle centuriazioni. Nel basso medioevo (tra i secoli VI° e X°) le foreste si riespansero naturalmente nelle campagne spopolate durante il periodo delle invasioni barbariche. A partire dall’epoca comunale, con il rifiorire delle attività agricole, i boschi planiziali vennero nuovamente ridotti per far posto alle colture e comunque vennero intensamente sfruttati per il pascolo e ceduati in modo sistematico per far fronte alla crescente richiesta di legna da ardere. A partire dalla seconda metà del XV° secolo e fino alla sua caduta (1797) la Repubblica di Venezia si prese attivamente cura del residuo patrimonio di querceti planiziali per garantirsi una risorsa di legname strategica per l’Arsenale. I Catastici ci hanno lasciato una precisa descrizione dei boschi di pianura della Serenissima e ci danno una vivida immagine dell’opera di progressivo ampliamento e miglioramento del patrimonio dei boschi di pianura, costituiti alla fine del XVIII° secolo da circa 7.000 ha di “rovereti” d’alto fusto, suddivisi in alcune centinaia di unità, per gran parte di piccola superficie (in media di 10 ha). Nei secoli di massimo splendore della Repubblica di Venezia foreste, opere di ingegneria forestale, civile e fluviale, nonché i cantieri navali dell’Arsenale erano collegate ed organizzate come un unico possente sistema il cui fine ultimo era quello di produrre in modo flessibile ed efficiente navi di vario tipo, base della potenza economica e militare della Serenissima. Mentre alcune storiche foreste veneziane di faggio e di conifere sono giunte fino a noi quasi intatte (Cansiglio, Somadida, etc.), i boschi di querce (Rovere e Farnia) del Veneto sono andati per gran parte perduti. Unica grande sopravvissuta dei Rovereti della Serenissima è la Foresta di Montona (Motovun), che si trova però nel cuore dell’Istria (Croazia), lungo la valle del fiume Quieto (Mirna).
Negli ultimi 200 anni la perdita del valore economico e strategico dei boschi di pianura ha portato alla loro decadenza, conclusasi nell’immediato dopoguerra. All’inizio degli anni ’80 nella pianura veneta restavano circa 50 ha di boschi planiziali, facendone una delle aree meno boscose dell’Unione Europea. Qui il manto boschivo primevo è stato distrutto sul 99.99% del territorio!
A partire dalla fine degli anni ’80 è iniziato, in modo spontaneo e contemporaneamente in varie parti della pianura veneta, un nuovo ciclo di ricostruzione dei boschi di pianura: il terzo, dopo quello “naturale” dell’alto medioevo e quello “pianificato” dell’ epoca veneziana.
Una sintesi delle motivazioni che hanno spinto singoli cittadini, associazioni, enti locali a dedicare tempo ed energia alla rinascita dei boschi planiziali è contenuta nella “Carta di Rosà”, documento ideologico-programmatico scritto nel 2001 in occasione di un convegno che celebrava il decimo compleanno di un boschetto planiziale (il “Bosco di Campagna” di Rosà, in provincia di Vicenza). In essa si affermava che “alle soglie del terzo millennio… ragioni economiche, sociali, etiche e spirituali rendono possibile il ritorno del bosco in pianura”.
Le foreste vergini primeve occupavano in modo continuo la pianura veneto-friulana; scendendo dalla fascia pedemontana verso il Po ed il mare Adriatico ed in ragione del livello dei terreni rispetto alla falda freatica, si susseguivano ininterrottamente boschi dominati da Rovere, Farnia, Frassino ossifillo, Ontano nero, Pioppi e Salici, intersecati da un dedalo di fiumi e di paludi, una specie di “piccola Amazzonia”. La distruzione dell’originale manto forestale iniziò presto nel postglaciale ma fu solo con l’arrivo della dominazione romana che l’opera venne resa sistematica, come testimoniato ancor oggi dai resti delle centuriazioni. Nel basso medioevo (tra i secoli VI° e X°) le foreste si riespansero naturalmente nelle campagne spopolate durante il periodo delle invasioni barbariche. A partire dall’epoca comunale, con il rifiorire delle attività agricole, i boschi planiziali vennero nuovamente ridotti per far posto alle colture e comunque vennero intensamente sfruttati per il pascolo e ceduati in modo sistematico per far fronte alla crescente richiesta di legna da ardere. A partire dalla seconda metà del XV° secolo e fino alla sua caduta (1797) la Repubblica di Venezia si prese attivamente cura del residuo patrimonio di querceti planiziali per garantirsi una risorsa di legname strategica per l’Arsenale. I Catastici ci hanno lasciato una precisa descrizione dei boschi di pianura della Serenissima e ci danno una vivida immagine dell’opera di progressivo ampliamento e miglioramento del patrimonio dei boschi di pianura, costituiti alla fine del XVIII° secolo da circa 7.000 ha di “rovereti” d’alto fusto, suddivisi in alcune centinaia di unità, per gran parte di piccola superficie (in media di 10 ha). Nei secoli di massimo splendore della Repubblica di Venezia foreste, opere di ingegneria forestale, civile e fluviale, nonché i cantieri navali dell’Arsenale erano collegate ed organizzate come un unico possente sistema il cui fine ultimo era quello di produrre in modo flessibile ed efficiente navi di vario tipo, base della potenza economica e militare della Serenissima. Mentre alcune storiche foreste veneziane di faggio e di conifere sono giunte fino a noi quasi intatte (Cansiglio, Somadida, etc.), i boschi di querce (Rovere e Farnia) del Veneto sono andati per gran parte perduti. Unica grande sopravvissuta dei Rovereti della Serenissima è la Foresta di Montona (Motovun), che si trova però nel cuore dell’Istria (Croazia), lungo la valle del fiume Quieto (Mirna).
Negli ultimi 200 anni la perdita del valore economico e strategico dei boschi di pianura ha portato alla loro decadenza, conclusasi nell’immediato dopoguerra. All’inizio degli anni ’80 nella pianura veneta restavano circa 50 ha di boschi planiziali, facendone una delle aree meno boscose dell’Unione Europea. Qui il manto boschivo primevo è stato distrutto sul 99.99% del territorio!
A partire dalla fine degli anni ’80 è iniziato, in modo spontaneo e contemporaneamente in varie parti della pianura veneta, un nuovo ciclo di ricostruzione dei boschi di pianura: il terzo, dopo quello “naturale” dell’alto medioevo e quello “pianificato” dell’ epoca veneziana.
Una sintesi delle motivazioni che hanno spinto singoli cittadini, associazioni, enti locali a dedicare tempo ed energia alla rinascita dei boschi planiziali è contenuta nella “Carta di Rosà”, documento ideologico-programmatico scritto nel 2001 in occasione di un convegno che celebrava il decimo compleanno di un boschetto planiziale (il “Bosco di Campagna” di Rosà, in provincia di Vicenza). In essa si affermava che “alle soglie del terzo millennio… ragioni economiche, sociali, etiche e spirituali rendono possibile il ritorno del bosco in pianura”.
I benefici ambientali
I boschi di pianura sono in grado di adempiere a una pluralità di richieste:
- nei pressi dei corsi d'acqua mitigano gli effetti delle alluvioni perché immagazzinano l'acqua piovana in eccesso e la rilasciano gradualmente filtrata dalle sostanze inquinanti
- fissano in legno e suolo grandi quantità di carbonio contrastando l'aumento di CO2 in atmosfera
- ripristinano e incrementano la biodiversità animale e vegetale in ambienti fortemente antropizzati
- offrono ambienti ideali per attività ricreative e di educazione ambientale
- forniscono buone opportunità per la diversificazione dell'offerta turistica della città
La regione veneto e la riforestazione
fonte: veneto Agricoltura
Negli ultimi 30 anni nel Veneto si è fatta molta strada nel reimpianto dei boschi di pianura:
Negli ultimi 30 anni nel Veneto si è fatta molta strada nel reimpianto dei boschi di pianura:
- 1988: avvio del primo imboschimento: 10.5 ha a Villaverla, Vicenza (Area AMAG)
- 1994 - 2000: circa 300 ha di boschi planiziali piantati con fondi del Reg.to CEE/2080/92
- 2001: Carta di Rosà: visione strategica per i boschi planiziali del Veneto
- 2003: Legge Regionale 13/2003: “Norme per il reimpianto di boschi nella pianura veneta”
- 2004 - 2013: altri 250 ha di boschi piantati con la LR 13/2003 (7 bandi)
- risorse economiche (prima Regolamento 2080/92; poi legge 13/2003);
- tutela dei residui lembi di boschi planiziali; interventi dei Servizi Forestali;
- creazione del Centro per la Biodiversità Forestale di Montecchio Precalcino
- AFP: gestisce le proprietà forestali dei Comuni del Veneto Orientale
- Comune di Venezia: gestisce l’insieme di boschi noti come “Bosco di Mestre”
- Veneto Agricoltura: gestisce circa 400 ettari di diverse formazioni planiziali